Che sia legno o papier-mâché il nero appare come il simbolo del lusso più eclatante e diventa un nuovo codice di riconoscimento sociale. Questo colore assoluto permette a ciascuno di accedere alla sua personale “immagine” del lusso.
Frutto dei revival storicisti dove vengono riportati in auge gli stili del passato, assistiamo, più o meno dalla seconda metà dell’800 e fino alla fine del secolo, a una moda che si diffonde in tutta Europa: quella dei mobili neri, che siano nel pregiato ebano o in legno ebanizzato.
Sinonimo di eleganza, il nero è considerato il colore del lusso: abbinandolo all’avorio o alla madreperla per il suo effetto luminoso si creano arredi di successo a un prezzo abbordabile.
Italia
A Milano in via Montenapoleone 21, la bottega di Ferdinando Pogliani (1832-1899) e dei suoi figli Giuseppe, Carlo e Paolo si era specializzata in mobili dall’impianto neo-rinascimentale: grandi stipi, tavoli, letti, sedie, scrivanie e armadi.
Comune denominatore di questi arredi è il colore nero, sia che si tratti di pero ebanizzato che del più prezioso ebano, nonché l’accuratezza degli intarsi: in avorio trattato a seghetto o a graffito, in osso ed a volte in pietre dure.
Una curiosità: ancora oggi si possono trovare, sul retro di questi mobili, le etichette di fabbrica con stampato: “FERD. POGLIANI/EBANISTA/MILANO” oppure “Ferdinando Pogliani – Ebanista – Via Monte Napoleone 21 con filiale via Brera 21, Milano”.
Sempre a Milano operavano, intorno agli anni 1860 – 70, anche le botteghe di Daniele Lovati e di Carlo e Giovanni Andreoni che producevano mobili simili, per lo più in uno schietto stile Umbertino, riscuotendo un certo successo.
Anche la Toscana non fu refrattaria a questa moda: numerose furono le botteghe dalle quali uscivano arredi interamente neri sui quali spiccavano, come punti luce, ricercatissimi intarsi in avorio, osso, madreperla.
A Lucca la bottega dei fratelli Lucchesi, attiva già dal 1835 per la corte borbonica, era specializzata nella produzione di una serie di tavolini dove il nero del legno, unito agli intarsi in avorio, osso, peltro e ottone creava dei particolari disegni trompe l’oeil.
Data la pregevolezza degli intarsi e spesso anche dei legni, queste botteghe costruivano mobili per committenze blasonate e la loro produzione era destinata ad un pubblico colto, esigente e facoltoso.
Europa
In Francia, negli anni 1860-70, riscontriamo una sorta di bulimia degli ornamenti, un horror vacui intenso, che invade ogni superficie. Prende il sopravvento una moda quasi maniacale, esaltata dall’esibizionismo della nuova borghesia che vuole nobilitarsi, per i mobili neri.
Siamo sempre nel periodo del Secondo Impero – Napoleone III: accanto agli arredi “aulici” che richiamano i grandi stili delle epoche precedenti, vediamo arredi, più o meno eleganti, in legni scuri, laccati, resi ancora più imponenti da sculture ed intagli, in alcuni casi alleggeriti da intarsi in madreperla e avorio oppure dipinti.
A Parigi, tra i grandi ebanisti-artigiani del Faubourg Saint-Antoine serpeggiava una certa preoccupazione per la comparsa di arredi frutto delle produzioni industriali in serie. Ciò nonostante, essi avevano la ferrea convinzione che la grande produzione potesse tranquillamente integrarsi con l’artigianato tradizionale senza costituire una reale concorrenza. Gli scultori del legno erano considerati degli artisti a pieno titolo, al servizio della manifattura industriale: il loro lavoro manuale contribuiva non poco a “nobilitare” la fabbricazione in serie, ma poi, sotto la pressione incalzante dell’industrializzazione, anche gli ornamenti scolpiti diventarono a loro volta oggetti di lavorazione seriale eseguita al pantografo.
In Inghilterra l’ebanista James Lamb, con bottega in Dalton Street a Manchester, produsse a propria volta credenze e arredi anch’essi in ebano con intarsi in avorio, in puro stile vittoriano, esposti con successo alle grandi Esposizioni Internazionali di Parigi del 1867 e del 1878.
Europe
In France, during the 1860s-70s, we observe a kind of ornament bulimia, an intense horror vacui that invades every surface. A quasi-maniacal fashion takes over, fueled by the exhibitionism of the new bourgeoisie seeking to ennoble themselves through black furniture.
We are still in the period of the Second Empire – Napoleon III: alongside “courtly” furnishings that evoke the grand styles of previous eras, we see furniture, more or less elegant, in dark woods, lacquered, made even more imposing by sculptures and carvings, in some cases lightened by inlays of mother-of-pearl and ivory or painted.
In Paris, among the great artisan-ebenists of the Faubourg Saint-Antoine, there was a certain concern about the appearance of furniture resulting from mass production. Nevertheless, they firmly believed that large-scale production could easily integrate with traditional craftsmanship without constituting real competition. Wood sculptors were considered full-fledged artists, serving industrial manufacturing: their manual work contributed significantly to “ennoble” mass production. However, under the relentless pressure of industrialization, even carved ornaments became objects of serial processing performed by pantograph.
In England, the ebanist James Lamb, with a workshop on Dalton Street in Manchester, produced cabinets and furnishings in ebony with ivory inlays, in a pure Victorian style. They were successfully exhibited at the grand International Exhibitions in Paris in 1867 and 1878.
I MOBILI IN CARTAPESTA: I Papier-Mâché
A lato della nobile produzione di mobili lignei neri, esiste una produzione, meno numerosa, di mobili neri in cartapesta.
L’uso della cartapesta è antico quanto quello della carta. Trae le sue origini in Cina per l’esigenza di recuperare la carta, considerata anticamente un materiale pregiato: in una tomba cinese sono stati trovati degli elmi da guerra in cartapesta laccata.
In Italia la cartapesta arrivò con i mercanti veneziani che importavano dall’Oriente piccoli mobili laccati, specchi e giocattoli, ma il più vasto uso di questa tecnica decorativa e costruttiva ebbe luogo nell’Inghilterra e nella Francia del XVIII secolo.
La tecnica è piuttosto semplice: vengono fatti macerare in acqua diversi pezzi di carta, impastati poi con della colla, fatti essiccare e successivamente decorati.
Inizialmente fu la Francia (da qui il nome papier-mâché ) che per tutto l’800 sino agli inizi del ‘900 produsse oggetti dalle più svariate fogge ed utilizzi.
Ma è nell’Inghilterra Vittoriana che assistiamo al trionfo del papier-mâché.
Già nel 1772 l’inglese Henry Clay produsse pannelli con un’anima metallica impermeabili e resistenti al calore, ma fu nel 1874 che Theodore Jennens brevettò un sistema per trattare al vapore e successivamente pressare una serie di fogli di cartone incollati a più strati e modellati in stampi di diverse forme: vassoi, schienali di sedie ed interi pannelli.
Per la costruzione degli arredi venivano predisposti degli scheletri in legno o in metallo a guisa di sostegno, rifinendo poi il tutto con papier-mâché laccato in nero e poi dipinto a motivi floreali, decorato a foglia d’oro e spesso intarsiato con inclusioni di madreperla.
Sia in Francia che in Inghilterra vengono prodotti interi arredi in papier-mâché: tavoli e tavolini, sedie, mobili da toeletta, piccole credenze.
Il risultato è sorprendente: se non fosse per la loro estrema leggerezza è difficilissimo poterli distinguere da quelli in legno; inoltre il papier-mâché si prestava a diversi utilizzi, sostituendo il più costoso legno ed anticipando con la sua duttilità i prodotti industriali successivi come il compensato stampato ed i materiali sintetici.
©Giusy Baffi 2019 (pubblicato su “Cose antiche” N.196 – Maggio 2009 e parzialmente pubblicato su ArteVitae.it 7 ottobre 2019)
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