Dopo gli anni quaranta del settecento Genova “la Superba” vede rafforzarsi sempre di più l’influenza francese: i modelli e gli oggetti parigini “all’ultima moda” diventano un must per i nobili e l’alta borghesia genovese.
L’influenza francese è imposta soprattutto dalle vicende politiche attraversate da Genova dapprima sotto il Re Sole e poi con Luigi XV, Luigi XVI e Luigi Filippo d’Orleans; i loro ambasciatori presenti a Genova intorno al 1750 come il duca de Boufflers, il marchese de Bussy, il duca de Richelieu e i loro generali, amanti anch’essi della vita elegante e raffinata, sono validi propagandisti della moda parigina.
I “Bancalari”
In quest’epoca gli artigiani per poter lavorare dovevano appartenere necessariamente alle Corporazioni delle Arti e Mestieri, che, nate con il compito di tutelare gli interessi dei loro associati per salvaguardare la qualità delle merci e dei servizi e stabilire i prezzi dei lavori, avevano rendite proprie, statuti, governo e determinavano il massimo lavoro che un associato poteva assumere e il numero di lavoranti che un maestro poteva avere. Già dal 1240 a Genova, città dalla vocazione mercantile e commerciale portata più allo scambio che alla produzione, compaiono le prime Corporazioni anche se la loro organizzazione procede più lentamente rispetto ad altre città. Nel ’700 operavano in città due distinte Corporazioni degli artefici del legno: quella degli intagliatori che si occupava principalmente dei lavori di intaglio e dei grandi arredi da parata e quella dei “bancalari”, termine genovese per designare la Corporazione sia dei falegnami che degli ebanisti.
Questi ultimi avevano a disposizione per le lastronature e gli intarsi tutti i legni esotici di moda: dal bois de violette al bois de rose passando dal palissandro, all’ebano viola, al noce d’India, alla radica di tuia e d’ulivo, per la struttura utilizzavano il noce nei mobili di maggior pregio mentre l’abete, a volte il pioppo e il pino marittimo per quelli più economici.
La tecnica e lo stile
Come per i mobili siciliani e napoletani le lastronature, quasi sempre poste a spina di pesce, sono realizzate esaltando la gamma cromatica delle venature dei legni, inserendo intarsi con la tipica forma a “quadrifoglio” detta anche a “cuore” (motivo lobato a quattro o otto petali disposto orizzontalmente o verticalmente sia sul fronte che sui fianchi) mentre il colore contrastante è realizzato utilizzando lastroni in differenti essenze.
A completamento di questi arredi hanno una parte importante sia le maniglie e le bocchette, a volte di bronzo dorato al mercurio, altre volte del più economico rame, che le montature, applicate a scarpetta sulle gambe, a cascata sugli spigoli e a sottolineare e decorare il grembiule.
I doratori genovesi sono considerati i migliori del tempo, arrivando a volte a sostituire il bronzo con il più prezioso argento.
La bombatura dei mobili è spesso ottenuta con il sistema delle doghe, metodo mutuato dalla costruzione degli scafi delle barche.
La “pellaccetta”, ovvero un piccolissimo cartiglio rocaille che ricorda una piccola foglia d’acanto arricciata e frastagliata, è il motivo ricorrente che si trova cesellato nella decorazione dei bronzi.
Dove non è possibile, per motivi di costo, utilizzare il bronzo dorato si utilizza il legno intagliato, dorato e spesso brunito con una tecnica tanto perfetta quanto particolare che resta riconoscibile solo con il tatto.
E’ l’epoca del trionfo delle curve e controcurve, anche se non si vuole fare a meno della proporzione e della comodità; l’ebanista crea un movimento ondulato sia nel fronte che nei fianchi senza eccessi stravaganti.
Il modello francese, a Genova, non è copiato pedissequamente ma viene interpretato e adattato.
I mobili, dal corpo piuttosto voluminoso e compatto perdono ogni pesantezza grazie alla scomparsa della monotonia del colore, ed è proprio questo modo così particolare di lastronare, accostando la vena e la contro-vena della fibra, che crea un movimentato gioco di luci e colori convergenti.
Gli arredi
Inizialmente il mobile al quale gli ebanisti si dedicano con maggiore attenzione è il cassettone, derivante dall’ antica cassa nuziale.
Il cassettone ha sempre due grandi cassetti ai quali se ne sovrappone, nel sottopiano, un terzo più piccolo, spesso diviso a metà: i cassetti formano un unicuum con il fronte del mobile, senza la presenza di “catene” divisorie tra essi a interrompere il ritmo.
Il piano è molto spesso in marmo: Broccatello di Spagna, Breccia di Francia, Verde di Valpolcevera, Fior di Pesco, Verde delle Alpi; altre volte è semplicemente lastronato e intarsiato.
Dal cassettone derivano il cassettone a ribalta e il cassettone a ribalta con alzata, chiamato spesso “doppio corpo”: ambedue sono l’esempio tipicamente settecentesco per la mania dei mobili con diversi usi, il primo funge sia da cassettone che da scrittoio; nel secondo, l’alzata funge da piccola libreria per riporre documenti o per l’esposizione di porcellane o argenti.
Il cassettone a ribalta con alzata è realizzato armonizzando il gioco delle curve e delle convessità del mobile sottostante con il corpo sovrastante; l’alzata, con specchi a grande superficie, non è più quindi un corpo sovrapposto al mobile, ma il suo naturale e coerente prolungamento; lo sviluppo verticale è ammorbidito dalla rinuncia alle movimentate cimase tipiche di Venezia: il genovese si accontenterà di porre, neanche tanto di frequente, un sobrio ornato scolpito e dorato (un vasetto, una conchiglia, un cartiglio).
Un altro arredo molto usato in quel periodo è il tavolino da notte utilizzato anche come mobile da centro o d’appoggio, notevolmente leggero, maneggevole, si presenta a gamba alta, fra il piano ed il corpo del mobiletto è spesso presente uno spazio vuoto atto ad ospitare documenti o libri e, celato in un fianco, un piccolo segreto sotto forma di un minuscolo tiretto. Il tavolino è quasi sempre munito di piano in marmo, oppure lastronato, spesso evidenziato su tre lati da una ringhierina sagomata in legno; sui fianchi sono presenti maniglie di bronzo cesellato, qualche volta dorato, per facilitarne il trasporto da un punto all’altro della casa.
I mobili intagliati e spesso dorati come sedie, consoles, specchiere e soprapporte si distinguono sia per l’armonia, la proporzione e la finezza dell’esecuzione che per i motivi ornamentali: tralci fioriti, ninfe, amorini (di ispirazione dell’architetto e scultore Filippo Parodi, 1630-1702), foglie con roselline che ornano il fusto delle sedie e il caratteristico motivo a “pellaccetta” intagliato nel legno.
©Giusy Baffi 2019 (pubblicato su “Cose antiche” N.194 – Marzo 2009)
Bibliografia:
Ludovico Caumont Caimi, L’ebanisteria genovese del settecento, PPF Edizioni 1995
Enrico Colle, Il mobile rococò in Italia, Edizioni Electa 2003
Enrico Colle, Angela Griseri, Roberto Valeriani, Bronzi decorativi in Italia, Edizioni Electa 2001
AA.VV. Arredi del Settecento, Artioli editore 2003
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