Per la rubrica Digressioni sulla fotografia, curata da Luigi Coluccia, in copertina oggi c’è Giusy Baffi. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.
Nata sotto il segno dei pesci, in un anno qualunque del secolo scorso – come ama ripetere lei stessa – Giusy Baffi acquisisce una formazione ad indirizzo linguistico umanistico, plasmata negli anni da eccellenti professori, propedeutica ad approcciare senza difficoltà i diversi lavori, solo in apparenza contrapposti, che ha svolto nel corso della sua lunga, soddisfacente e proficua attività professionale.
Dopo vent’anni trascorsi nell’azienda della quale era socia, occupandosi con passione e piacere della parte economico – finanziaria, nonché della gestione delle risorse umane, a metà degli anni ’90 è la vita stessa ad imprimere al suo destino un giro inaspettato. Cambia infatti totalmente strada, le viene concessa una seconda possibilità.
“Credo fermamente che le coincidenze non esistano, evidentemente erano maturi i tempi per affrontare quello che diventò ed è tutt’ora il mio lavoro, la mia passione: l’antiquariato e l’arte in generale” – ci racconta con una semplicità che ha evidentemente il compito di sminuire un grande traguardo invece conseguito, Giusy ama schermirsi. Cinque anni di studi e di esami per arrivare a diventare perito antiquario con la specializzazione in mobili del ‘700 infatti, non devono essere stati proprio una passeggiata a piedi nudi nel parco in una mattinata d’estate
AVB: Giusy, grazie per aver accettato il mio invito a raccontarti. Non è mai facile aprirsi davanti ad un pubblico, specie per una persona schiva e discreta come te. Considero quindi questo un bellissimo omaggio, un regalo inaspettato e graditissimo. Un modo per approfondire la tua conoscenza, i tuoi lavori e la tua visione sul mondo della fotografia. Siamo certi che anche i nostri lettori apprezzeranno molto.
GB: Grazie a te, a voi. Sai che per me è un gran piacere essere ospite sulle pagine di questo magazine, ArteVitae, per il quale già in diverse occasioni mi sono dilettata a scrivere qualche articolo.
AVB: Si, aggiungerei anche con successo. Ma torniamo a noi, hai vissuto una lunga parte della tua vita a stretto contatto con l’arte, anche se per un lungo periodo ti sei occupata di aspetti legati alla gestione di un’azienda. Come e quanto allora queste tue due anime hanno saputo convivere, determinando il fluire della tua passione per la fotografia?
GB: Direi molto, entrambe. E’ evidente che la mia vita era destinata ad incrociarsi con la bellezza e l’arte in tutte le sue forme. Questo rapporto così intimo con il bello e con l’arte, si è ripercosso inevitabilmente nella mia fotografia. Vedi, in me albergano effettivamente due anime, apparentemente contrapposte ma in realtà contigue, che a modo loro sono perennemente alla ricerca del bello, per soddisfare il mio senso estetico. Te l’ho detto, sono nata sotto il segno dei pesci.
Conosco Giusy da diversi anni, sono giunto però alla consapevolezza di averne capito le molteplici sfumature, tutte incredibilmente intriganti e fascinose, solo recentemente. Non è affatto semplice e scontato riuscire a penetrare così in profondità in un animo sensibile ed ermetico come il suo. Considero quindi l’esserci riuscito, grazie ad una gradita concessione, un privilegio, uno di quelli importanti. Un animo sensibile quello di Giusy che unito ad un carattere sornione ma al tempo stesso forte e risoluto, le hanno permesso per ben 9 anni di essere membro della Commissione Belle Arti del Collegio Lombardo Perito Esperti di Milano, dei quali gli ultimi 3 con la carica di Coordinatore della Commissione stessa.
Il caso ha voluto – continua – che iniziassi una lunga collaborazione con Fiere di Parma come perito esperto nella rassegna fieristica semestrale del “Mercante in Fiera”, contemporaneamente due testate editoriali di settore, ora purtroppo chiuse, mi chiesero di scrivere mensilmente articoli a mia scelta inerenti la mia specifica specializzazione, oltre che tenere una rubrica personale mensile chiamata, appunto, “L’esperto risponde”. A seguito di questi articoli, un editore mi propose di scrivere un libro sulla storia del mobile napoletano, dal ‘700 alla fine dell’800, libro che ebbe nella sua prima edizione un grande successo.”
AVB: Citando Ansel Adams, fotografo che ha scritto pagine importanti di questa arte, nelle nostre fotografie mettiamo tutte le immagini che abbiamo visto, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato, insomma il nostro vissuto. E’ forse stato così anche per te? Se sì, come pensi che il tuo bagaglio personale l’abbia influenzata?
GB: Si, come ti dicevo prima, tutto ciò che ha concorso a determinare la mia formazione l’ho poi inevitabilmente ritrovato nella mia ricerca artistica. La fotografia che prediligo è sempre alla ricerca di composizioni pulite, armoniche e precise. La sublimazione del bello, una certa ricerca estetica, sono elementi riconducibili ai miei studi e alle mie attività professionali.
AVB: Dove nasce questa tua passione per la fotografia? E’ retaggio del tuo ambiente familiare? Quale è stato l’evento che ha scatenato in te la voglia di misurarti con la fotografia?
GB: La mia passione per la fotografia ha radici lontane, fin da ragazza scattavo e, adattando uno sgabuzzino di casa a camera oscura, sviluppavo e stampavo le mie foto, senza nessuna conoscenza specifica; sotto l’ingranditore mi piaceva sperimentare, adoravo stampare in high key, solarizzare, sovrapporre l’immagine con l’effetto mosso, avevo una predilezione per le foto d’architettura e minimaliste.
Poi il lavoro, la famiglia, gli impegni mi hanno fatto abbandonare totalmente questa mia passione. Passione che è ritornata, prepotentemente nel 2011 per merito di una mia amica di vecchia data, brava fotografa, che letteralmente mi trascinò a fare qualche scatto in giro.
Ricominciare nuovamente, studiare, provare, sbagliare è stato il mio percorso fotografico. Una costanza premiata con mostre collettive, una mostra personale, un premio prestigioso e altri premi, la pubblicazione di mie foto su qualche testata importante ma soprattutto la pubblicazione nel 2016 del mio portfolio sulle “Luci d’artista” di Salerno nel libro “E poi la luce” edito da Fioranna Editore.
AVB: Davvero un percorso affascinante. Una costante che ho avuto modo di ritrovare in tutti gli Autori intervistati sino ad ora è proprio rappresentata dall’inevitabile black-out che ad un certo punto sembra cogliere ogni fotografo. A questo poi però, segue sempre il ritorno di fiamma. Cosa rappresenta dunque per te la fotografia, questa passione ritrovata ad un certo punto?
GB: Rappresenta il mio bisogno di esprimermi, di trasmettere in immagini quello che “vedo” con gli occhi della mente: un’architettura si trasforma in un dettaglio architettonico, con una nuova chiave di lettura, cercando di capire, o meglio di carpire ciò che quel determinato architetto ha voluto rappresentare. Ecco, un linguaggio espressivo che ha quindi da una parte il compito di rappresentare una mia visione della realtà e dall’altra di rendere chiaro a me stessa, attraverso la sua lettura, quello che è il messaggio lasciato dall’architetto che ha progettato quell’architettura.
VB: Cartier Bresson diceva: “per “significare” il mondo, bisogna sentirsi coinvolto in ciò che si inquadra. Questo atteggiamento esige concentrazione, sensibilità, senso geometrico”. Della tua fotografia ho sempre ammirato il suo evidente senso estetico, d’altronde hai vissuto di Arte per tutta la vita. Ma nelle tue immagini riconosco anche caratteristiche più propriamente tipiche di altre discipline artistiche più inclini però a quei valori di precisione, di ricerca delle geometrie, di esaltazione degli spazi e dei volumi. Insomma, la ricerca della perfezione. Sei un’autrice che si cimenta con molto successo in più generi fotografici, come sei arrivata alla fotografia d’architettura? Cosa ti attrae in questo genere?
GB: Amo il bianco e nero, perché non distrae l’occhio, va immediatamente al focus del soggetto, crea una sorta di discorso interiore che il colore, invece, esclude. Amo scrivere e amo fotografare, che in definitiva vuol dire scrivere con la luce. Tutta la scrittura è un gioco intimo e di intima riflessione, quando scrivo o quando fotografo, non sento mai la stanchezza, faccio uscire semplicemente il fiume dei miei pensieri, del mio sentire, del mio vedere.
Pur cimentandomi in vari generi fotografici, quello che sento sempre molto vicino è il genere architettonico, arrivando fino all’astrazione dello stesso. Le linee pure, quasi grafiche, mi affascinano: non è rigore, è fantasia. L’arte, soprattutto quella pittorica, è fantasia, a volte follia; ma se guardiamo una qualunque altra opera d’arte, dall’architettura antica alle arti applicate, riscontriamo sempre la ricerca dell’equilibrio e della perfezione.
AVB: Hai realizzato moltissimi lavori fotografici e per diversi di questi hai ricevuto anche dei riconoscimenti. Tra questi, vorresti citarne uno o più d’uno a cui sei particolarmente legata?
GB: Non sono legata a qualche foto in particolare, diciamo che il mio primo portfolio, intitolato “Cieli Neri” che risale al 2013 mi dà ancora un po’ di emozione, anche se, con l’occhio di oggi, ne vedo i difetti, probabilmente ora non ripeterei quegli scatti. Al momento ho in mente un progetto fotografico che esula completamente dall’architettura, ma è troppo prematuro per parlarne, diciamo che in questo caso sarà la fantasia ed il colore a farla da padrone.
AVB: Ci lasci con questa anticipazione senza dirci altro? Va bene, ma ti strappo la promessa che saremo i primi ad essere informati una volta che avrà preso forma e consistenza. Ti conosco come una persona franca ed intellettualmente onesta. Vorrei allora un tuo parere spassionato, da osservatrice privilegiata ed arguta, sulla fotografia d’oggi.
Sulla deriva che sembra aver preso, sull’impulso che il social sembrerebbe aver impresso nel rapporto che essa ha con il suo pubblico. Te lo chiedo perché ho sempre riconosciuto in te quella intelligenza sopraffina tipica di chi riesce a guardare le cose sempre con gli occhi socchiusi, per mettere meglio a fuoco.
GB: Appare evidente che attualmente ci sia una bulimia di immagini, immagini spesso poco significative, lanciate nel web che, fortunatamente, sono visibili quanto lo spazio di una stella cadente. La fotografia è diventata un fenomeno di moda e quindi di massa. Tutti fotografano tutto: l’importante è esserci. Essere presenti in maniera compulsiva sui social è la nuova versione Cartesiana del “cogito ergo sum”, in questo caso “posto foto quindi esisto”. Nulla di più sbagliato. Meglio postare meno ma postare bene.
AVB: Di quali strumenti ti avvali, tipo di macchina fotografica, obiettivi, post produzione?
GB: Sono fedele a Nikon per pigrizia, detesto i manuali d’istruzioni, quindi quello che cerco è un apparecchio che già conosco e per cui so fin dove posso spingermi. Utilizzo una Nikon D750, con un obiettivo un po’ buio tuttofare e non performante con uno zoom 28/300 mm., ho anche un grandangolo 16/28 mm. f 2,8 che uso raramente, più per pigrizia che per altro. Per abitudine scatto solo in raw, utilizzando poi Lightroom e Photoshop.
AVB: Per finire, si percepisce nel tuo lavoro e nelle tue parole molta passione per ciò che fai, cosa ti sentiresti di suggerire a coloro che inesperti vogliano approcciare la fotografia? Cosa ti ha insegnato la tua esperienza?
GB: Direi loro di affinare il senso critico, di non innamorarsi delle proprie immagini, di osservare, guardare, studiare chi fa foto migliori di noi. Evitare di andare negli stessi posti per ripetere pedissequamente immagini già viste e straviste ma cercare quel “quid” in più che è in ciascuno di noi e che fa la differenza, che ci rende originali. Seguire il proprio istinto mettendoci tutta la passione e l’umiltà possibile.
AVB: Avrei voluto che questa chiacchierata non finisse mai, ma ahimè, siamo giunti al momento dei saluti finali. Grazie per la disponibilità, per la franchezza e per tutte le emozioni che ci hai saputo regalare.
GB: Grazie a voi, davvero. Un saluto a tutti gli amici di ArteVitae.