Spesso erroneamente immaginiamo che in passato artisti come Dürer restassero arroccati e isolati nella loro torre d’avorio intenti a creare. Nulla di più sbagliato. A quei tempi, nonostante i mezzi di trasporto limitati e le distanze enormi, questi artisti viaggiavano per confrontarsi tra loro, per avere rapporti reciproci sulle novità mettendo tutto il loro sapere al servizio degli altri. E Albrecht Dürer era tra questi.
E’ in corso a Milano una mostra piuttosto ambiziosa dal titolo: “Dürer e il Rinascimento, tra Germania e Italia”, una mostra estremamente interessante perché tratta il Rinascimento in generale e nella quale emerge preponderante la figura di questo artista, direi internazionale, che ha saputo cogliere in pieno e testimoniare, attraverso le sue opere, questo momento di grande rinascita e cambiamento radicale di tutta la cultura europea.
Albrecht Dürer (Norimberga 1471-1528) è stato un artista a tutto tondo, un ottimo pittore, un formidabile disegnatore e un insuperabile incisore. Nella storia dell’arte sono solo tre i grandi artisti che compongono l’empireo del mondo dell’incisione: Dürer, Rembrandt e Goya, ciascuno nel proprio secolo, ciascuno nella propria società e con intendimenti e tecniche diverse.
Dürer è stato un uomo estremamente moderno, affascinante e magnetico, dalle mille sfaccettature, di una cultura profonda, interessato nel conoscere e nel sapere nei confronti del mondo, un personaggio a livello europeo, l’esempio di come sia possibile essere contemporaneamente cittadini orgogliosi della propria città, Norimberga, e sentirsi parte di una storia, di una cultura assai più vasta.
Fu un artista in continuo movimento, un uomo che non sarebbe eccessivo definire contemporaneo, sempre pronto a cogliere tutto ciò che di nuovo c’era nel mondo della cultura europea.
Dürer fu un uomo talmente attuale che per primo, nella storia dell’arte, firmò tutte le sue opere, fin dai suoi esordi all’età di 13 anni, solo con la sua sigla AD, un semplice monogramma che diventerà il suo logo inconfondibile.
Dürer iniziò il suo percorso artistico come incisore; il padre, emigrato dall’Ungheria e stabilitosi a Norimberga, era orafo e lavorava i metalli e, poiché l’oreficeria si basa su un progetto grafico, al giovane Dürer venne insegnato il disegno, arte nella quale si rivelò immediatamente e prodigiosamente dotato.
Ma è come incisore che iniziò ad esprimere sé stesso, infatti, dopo aver lavorato presso editori e stampatori, sia a Basilea che in Alsazia, imparando le tecniche della stampa e soprattutto intuendo l’esponenziale crescita del mercato librario, decise di realizzare una serie di grandi xilografie con le illustrazioni dell’Apocalisse.
Per la prima volta nella storia della stampa, vennero realizzate due diverse edizioni, una a fogli singoli per la gente umile e una di lusso, un intero libro rilegato, con tutte le illustrazioni e il testo completo dell’Apocalisse di San Giovanni. Primo in assoluto nell’affrontare l’intera serie di tutte le visioni dell’Apocalisse, raggiunse un immediato successo consolidando la sua fama di eccelso incisore.
Vorrei però soffermarmi in particolare sulla pittura di Dürer, soprattutto sulla grande influenza che la pittura italiana ebbe sullo stile di questo grande artista. Fu infatti con la pittura che Dürer espresse al massimo le sue capacità eclettiche. Amante dei viaggi, personaggio dalla mente curiosa, egocentrico e dotato di una enorme autostima, amava ritrarsi in ogni suo dipinto.
Dürer per tutta la vita continuò ad indagare sulla sua figura e sul cambiamento del proprio aspetto sia nella pittura che nell’incisione, fu un pittore con una forza molto espressiva, i gesti, i volti, i personaggi seguono il filone d’espressionismo tedesco, con una carica aspra che arriva fino ai giorni nostri.
A 27 anni Dürer era già famoso, nel suo Autoritratto con i guanti, si presenta come un raffinato e giovane intellettuale, in abbigliamento elegante e anche un po’ guascone in una posa ed in una situazione ambientale che immediatamente ricorda la pittura italiana: la finestra aperta sullo sfondo con il personaggio che si appoggia sul davanzale. Con questo dipinto Dürer fa intendere di conoscere già la pittura italiana, scavalcando la pittura tardo gotica tedesca così grafica e mettendosi in aperto rapporto con la grande pittura rinascimentale italiana.
Nonostante non ci siano documenti che attestino la venuta in Italia di Dürer in quegli anni, (tutt’ora la diatriba tra gli storici dell’arte è abbastanza vivace) è molto probabile che tra il 1495 e il 1496 Dürer sia andato a trovare il suo migliore amico Willibald Pirckheimer, la sua controparte intellettuale, cresciuti entrambi nella stessa casa a Norimberga, che stava frequentando l’Università a Pavia; in quegli anni alla Corte di Ludovico il Moro, signore di Milano e con feudi a Pavia e località limitrofe, erano presenti Leonardo, Bramante e Luca Pacioli che stava terminando il trattato De Divina Proporzione e tutti tre studiavano la forma geometrica come rappresentazione del Divino in una continua ricerca prospettica.
All’epoca non esisteva ovviamente la fotografia, il telefono, il fax e internet e quindi è molto probabile che Dürer incontrò personalmente Leonardo, forse anche Bramante. Troppe sono le somiglianze pittoriche per non pensarlo. Lo studio della prospettiva di Dürer e il suo avvicinamento alle ricerche formali di Leonardo e Bramante è evidenziata nel Trittico dell’Altare Paumgartner (Adorazione dei Magi con i SS. Giorgio ed Eustachio).
Nel 1500 con l’Autoritratto con pelliccia, Dürer si presenta frontalmente, il modello è quello del Cristo Pantocratore, incredibilmente simile al Salvator Mundi del 1499 attribuito a Leonardo, in questo autoritratto sembra che stia dicendo: “Io sono un demiurgo, colui che dal nulla ma solo con la forza dell’intelletto e non con la mano e la tecnica è un grande creatore”. Negli stessi anni Leonardo scriveva “Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’uomo.” (Trattato della Pittura parte prima par. 9) .
Il 1504 segna il preludio del secondo viaggio, ampiamente documentato, in Italia di Dürer, egli dipinge su commissione del Principe Vescovo di Trento l’Adorazione dei Magi, lo sfondo di questa Adorazione è identica, in un’analogia impressionante, alla stessa Adorazione dei Magi di Leonardo. Una curiosità: al centro del dipinto di Dürer c’è il suo autoritratto, i gioielli sontuosi che indossa e gli oggetti preziosi sono quelli prodotti dal padre, in una sorta di catalogo ante-litteram.
L’amico Willibald Pirckheimer si trovava a Venezia quando venne raggiunto da Dürer che entrò così in contatto con il Doge Leonardo Loredan e con il pittore ufficiale della Repubblica di Venezia, Giovanni Bellini; nonostante la differenza di età (Dürer aveva poco più di 30 anni, Bellini aveva superato i 70) tra i due si instaurò una perfetta di sintonia. Nella Madonna Haller dipinta da Dürer nel 1498 ci sono i rimandi con la Madonna con Bambino di Bellini del 1480 e con la Madonna della pera sempre di Bellini del 1487 circa.
Durante il suo lungo soggiorno a Venezia, Dürer venne in contatto anche con Mantegna e Luca Pacioli. L’influenza che la scuola veneziana ebbe sulla pittura di Dürer è palese nel dipinto Festa del rosario della pala d’altare per la chiesa di San Bartolomeo, chiesa situata di fronte al Fondaco dei Tedeschi a Venezia, dove sono evidenti sia la composizione piramidale con al vertice il trono di Maria, che lo splendore cromatico tipico della pittura veneziana del periodo. All’inaugurazione della pala nella chiesa di San Bartolomeo, al cospetto del Doge, lo stesso Luca Pacioli terrà una Lectio magistralis, una lezione magistrale alla presenza di 500 persone.
Nel Ritratto di giovane veneziana, rimasto incompiuto (lo si nota dal nastro sulla spalla destra della donna, che rivela ancora il colore della imprimitura della tavola) e datato 1505, è evidente la stupenda fusione tra la minuziosa precisione del dettaglio, tipica della tradizione pittorica nordica, dal vestito alla rete che trattiene i capelli alla collana, altro campionario dell’arte orafa del padre, e i tratti uniti alla morbidezza dei colori della pittura italiana.
Durante il suo soggiorno in Italia, probabilmente a Milano, dipinse Cristo fra i dottori, datato 1506 e firmato con il suo solito monogramma A.D. posizionato sul dorso delle pagine del libro chiuso a sinistra.
Questo dipinto è estremamente interessante per i volti, a volte deformati in una sorta di horror vacui che ricorda lo stile di Hieronymus Bosch ma con un chiaro riferimento agli schizzi delle teste grottesche di Leonardo (1494 circa).
Estremamente significativi sono i disegni che Dürer fece per i dettagli del dipinto, dettagli nei quali si riscontra il grande interesse per l’anatomia molto simile a Leonardo.
Verso la fine della sua vita Dürer si confrontò anche con Raffaello e sappiamo da Vasari, che non amava affatto Dürer appellandolo con disprezzo Alberto Duro, nel suo libro Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568), che ci fu un intenso scambio personale di opere tra i due: Raffaello amava le stampe che Dürer gli inviava e a sua volta Raffello gli mandava i suoi disegni di nudi, su un disegno di nudi Dürer scrisse di suo pugno: Questo è un disegno che Raffaello mi ha mandato. C’era, a tutti gli effetti, un rapporto diretto tra i due grandi maestri.
©Giusy Baffi 2019 (pubblicato su ArteVitae.it 3 maggio 2018)
© Le foto sono state reperite, a titolo esplicativo, da libri e cataloghi d’asta o in rete e possono essere soggette a copyright. L’uso delle immagini è esclusivamente a scopo divulgativo. L’intento di questo blog è solo didattico e informativo.
© Qualsiasi sfruttamento, riproduzione, duplicazione, copiatura o distribuzione dei Contenuti del Sito per fini commerciali è vietata.