IL SORRISO E IL SOLE DI NAPOLI – Il mobile napoletano di metà Settecento
Forse perché splende sempre il sole, forse perché è una città allegra, scanzonata e auto ironica dove perfino le tragedie diventano spunto di sceneggiate, forse è per questo che a Napoli anche alcuni mobili sembrano sorridere e altri splendere.
Siamo nel ‘700 e Napoli, sotto il regno di Carlo VII di Borbone (divenuto poi Carlo III re di Spagna nel 1759) ha una nuova fioritura culturale e di rinnovamento: con l’ausilio del ministro Bernardo Tannucci il re provvede a riorganizzare le finanze e a formulare progetti di riforme riguardanti il fisco, l’istruzione e il commercio.
Nelle arti applicate Napoli, come la Liguria e il Piemonte, è influenzata stilisticamente dalla Francia, influenza dovuta in parte dallo stretto vincolo di parentela che unisce Carlo di Borbone a Luigi XV re di Francia, gli arredi sono spesso di chiara derivazione francese anche se con sostanziali differenze.
I mobili con il “sorriso”: elemento rivelatore dell’ebanisteria partenopea
I cassettoni napoletani, costruiti con una struttura in pioppo o, più raramente, in abete, sono lastronati in noce, palissandro, bois de rose e bois de violette, con intarsi solitamente geometrici in essenze contrastanti quali il bosso, l’acero, l’ebano viola.
Il piano è molto spesso in marmo lumachella, un tipo di marmo raro che contiene piccole conchiglie fossili che gli conferiscono un aspetto opalescente con iridescenze brillanti molto particolari che assumono sfumature di bianco, giallo, grigio e nero; altre volte si può trovare il marmo rosso di Verona, il giallo di Siena o altre varietà di marmi. La lastra di marmo poggia sempre su un sottopiano in pioppo.
Le linee sono mosse, sui montanti sono sempre presenti degli spigoli prominenti, a guisa di piccole “alette” che alleggeriscono l’opulenza delle forme bombate.
Sia il fronte che i fianchi presentano molto spesso dei rosoni o delle rose dei venti intarsiati con essenze esotiche a sfumature contrastanti.
I cassetti sono molto profondi e separati gli uni dagli altri da diaframmi interni che prevengono l’infiltrazione della polvere.
Bronzi cesellati e dorati fungono da maniglie a forma di volute e foglie di acanto, da fregi nella parte superiore dei montanti sugli spigoli e da scarpette nella parte terminale delle gambe a sciabola.
Un “grembiale” molto pronunciato collega le gambe sia sul fronte che sui fianchi.
Ed è proprio il “grembiale” che reca molto spesso intarsiata, altre volte solo evidenziata da un contorno in legno contrastante una formella a forma di …. sorriso!!
Il “sole” napoletano, un particolare che si fa notare
L’intaglio raggiunge elevati livelli di perfezione e fantasia e numerosi sono gli artefici conosciuti: tra i più importanti Gennaro Fiore impegnato nella decorazione e negli arredi degli appartamenti reali.
I mobili intagliati vengono realizzati con semplici laccature a tempera, spesso con dorature a foglia d’oro o, più frequentemente nel Regno di Napoli e di Sicilia, a mecca (*).
Le sedie, imponenti, mostrano un retaggio di gusto barocco coniugato a motivi rococò, alcune hanno schienali ricurvi come i modelli francesi, genovesi e piemontesi ma si distinguono anch’esse per le maggiori dimensioni e per un intaglio più poderoso e deciso di motivi floreali e vegetali.
Le consoles, in un barocco e successivamente in un rococò ridondante, hanno la fascia sottopiano ad andamento curvilineo arricchita sovente da una conchiglia centrale fiancheggiata da foglie d’acanto o intrecci e volute naturalistiche e le gambe a doppia curvatura desinenti a volte in zampe caprine, altre in riccioli.
Ma l’elemento peculiare dell’intaglio partenopeo, quasi un marchio di fabbrica, una firma, è una piccola superficie a specchio di forma ovale o rotonda circondata da una raggiera di foglie d’acanto di solito posizionata tra la fascia e l’inizio delle gambe: un piccolo “sole” dorato come quello che splende nel cielo di Napoli.
(*) LA DORATURA A MECCA
Per ridurre i costi della doratura, si applicava sulle parti da dorare della foglia d’argento (anziché la foglia d’oro zecchino) e si ripassava la superficie argentata con un pennello imbevuti di mecca, una vernice trasparente a base di lacca di tonalità giallo oro che dava l’effetto del similoro, assumendo a volte sfumature di altri colori. Molto più resistente dell’oro, è facilmente riconoscibile non solo per colore diverso rispetto alla foglia d’oro, ma anche per la presenza di punti neri sulla superficie dovuti all’ossidazione dell’argento sotto la mecca.
©Giusy Baffi 2019 (pubblicato su “Cose antiche” N.191 – Dicembre 2008)
Bibliografia:
AA.VV, Casa di Re, Edizione Skira 2005
Enrico Colle, Il mobile rococò in Italia, Edizioni Electa 2003
Enrico Colle, Angela Griseri, Roberto Valeriani, Bronzi decorativi in Italia, Edizioni Electa 2001
AA.VV. Arredi del Settecento, Artioli editore 2003
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