I segni della magnificenza dei regnanti in un’arte tutta italiana tra il XVI e il XVIII secolo.
Furono i Medici, grandi mecenati e collezionisti, e successivamente i Lorena che, per stupire e mostrare agli altri Stati la loro magnificenza, fecero realizzare mobili impreziositi da pannelli di commessi di pietre dure: allo scopo vennero creati stipi, tavoli, consoles sui cui piani si sviluppavano grandi composizioni decorative, delle vere e proprie “pitture di pietra”, degli autentici capolavori.
Un simile mobilio, per la sua bellezza, per la rarità e preziosità dei materiali, per la ricchezza dei colori era destinato a decorare gli appartamenti più nobili e ricchi rispondendo in pieno al desiderio di ostentazione e di fasto dei principi e degli alti personaggi di tutta l’Europa dell’epoca.
Firenze
Nel 1588 Ferdinando I de’ Medici istituì a Firenze la Galleria dei Lavori (che nel XIX secolo prese il nome di Opificio delle Pietre Dure) l’esclusiva manifattura di Corte dedicata alla creazione di aulici arredi, in particolare la lavorazione delle pietre dure, primo caso in Europa di manifattura artistica al servizio di una dinastia regnante.
Nella seconda metà del XVI secolo e agli inizi del XVII i laboratori romani e fiorentini privilegiarono commessi a motivi geometrici ispirati dall’Opus sectile antico, ma sotto l’influenza del gusto di Ferdinando I de Medici questi motivi cedettero il posto a elementi decorativi figurativi, in particolare uccelli, fiori, frutta , che ben si prestavano a sontuosi effetti policromi.
Sotto Cosimo II, tra il 1609 e il 1621 Jacopo Ligozzi, pittore di soggetti botanici e zoologici, fornì alla Galleria dei Lavori modelli naturalistici ed esotici come gli uccelli del paradiso e i pappagalli, gli stessi che si potevano ammirare nelle voliere del giardino granducale di Boboli.
I soggetti naturalistici si susseguirono pressoché invariati per parecchi decenni. Nel 1732 iniziò a lavorare, prendendone poi la direzione, l’orafo e incisore francese Louis Siries qualificato in Francia come “orfèvre du roi” (gioielliere del re). Ai motivi naturalisti si affiancarono anche soggetti di altro genere. La sua politica artistica, unita a quella del figlio e del nipote che gli succedettero alla guida della manifattura, mirò ad un’efficace collaborazione con i maggiori artisti attivi all’epoca in Firenze, le cui creazioni in pietre dure furono spesso all’avanguardia del gusto decorativo europeo.
Nel 1737, dopo la morte di Gian Gastone, l’ultimo dei Medici, con l’arrivo dei nuovi Granduchi Asburgo-Lorena e sotto la guida dei Siries che diressero la Galleria dei Lavori fino ai primi dell’800, vennero preferiti i paesaggi e le scene di genere, su modelli del pittore Giuseppe Zocchi, che collaborò dal 1750 al 1767 e di Antonio Cioci che collaborò dal 1750 al 1792.
Parigi
Il primo, grande estimatore dei mobili fiorentini con le applicazioni in pietre dure fu il Cardinale Richelieu tant’è che aveva disposto i suoi stipi e i suoi tavoli, mobili fastosi per eccellenza, nei locali di rappresentanza della sua residenza parigina.
Ma fu Mazzarino a coltivare una vera e propria passione per i lavori fiorentini in pietre dure, contagiando a tal punto Luigi XIV, il Re Sole, che istituì nel 1668 un laboratorio di commessi di pietre dure presso la Manifattura Reale dei Gobelins; erano ovviamente italiani e di formazione artistica fiorentina i primi artisti che vi lavorarono: i fratelli Migliorini, Filippo Branchi, Gian Ambrogio Giacchetti furono gli artefici che eseguirono splendidi pannelli sia per piani di tavolo che per i superbi mobili destinati agli appartamenti reali di Versailles e del Louvre realizzati da ebanisti del calibro di Pierre Gole (nato in Olanda con il nome di Pieter Goolen nel 1620), Domenico Cucci (nato a Todi nel 1635) e André-Charles Boulle (nato a Parigi nel 1642) .
Migliorini e Branchi però si limitarono a esportare in Francia solo la tecnica imparata presso la Galleria dei Lavori di Firenze e non il linguaggio iconografico e rappresentativo.
Quest’ultimo fu prettamente francese, frutto della bravura e della fantasia di Charles Le Brun (1619-1690), pittore e decoratore; la natura del suo enfatico talento si accordava perfettamente al gusto di Luigi XIV al punto che venne nominato “Premier Peintre du Roi “ (primo pittore del re), e poi soprintendente, fino al 1690, della Manifattura dei Gobelins fornendo egli stesso i disegni dei pannelli dei commessi.
Le Brun esercitò un assiduo e minuzioso controllo sulla qualità e fu sempre esigentissimo e scrupolosamente attento alla perfezione dei suoi cartoni; il realismo quasi pittorico di questi pannelli rifletteva il mestiere del loro creatore che voleva tradurre in pietra la sua arte. La sua puntigliosa ricerca di profondità, l’utilizzo di animali comuni in Francia come le anitre, i fagiani, le pernici e non la rappresentazione di animali esotici come per i pannelli fiorentini costringeva la Manifattura dei Gobelins all’utilizzo di un numero maggiore di marmi e pietre dure rispetto alla Galleria dei Lavori con un risultato finale spettacolare.
La Manifattura Reale dei Gobelins cesserà la produzione dei commessi nel 1715 e contemporaneamente tramontò anche il gusto per i grandi tavoli e gli stipi.
Verso la fine del secolo, per nostra fortuna, i meravigliosi pannelli di commessi vennero smontati dai precedenti mobili per essere riutilizzati dai grandi maestri ebanisti dell’epoca quali Adam Weisweiller, Martin Carlin, Joseph Baumhauer che li applicarono riadattandoli perfettamente ai nuovi dettami del gusto su mobili più alla moda.
La cosa più stupefacente in queste opere d’arte è la capacità non solo di creare una “pittura in pietra” in grado di superare il modello pittorico con la straordinaria precisione del taglio delle pietre, ma anche di sfruttare al massimo la tonalità e la varietà delle pietre stesse.
Queste opere di straordinario valore, dai mobili agli oggetti, arricchiscono oggi i musei più importanti del mondo testimoniando la genialità e la tecnica degli artigiani di quell’epoca.
I materiali e la lavorazione
I marmi utilizzati sono molteplici: dai diaspri bianchi e rossi di Barga , i verdi di Corsica, quelli di Sicilia, di Volterra e d’Alsazia, ai lumachella (chiamati così perchè si trovano spesso inclusioni di piccoli animali fossili) coniugati nelle varie tonalità che vanno dal giallo al rosa, dal rosso al grigio, al marmo verde antico maculato , a quello dorato giallo antico, all’alabastro , e poi il legno fossile o silicizzato, la madreperla per gli inserti luminosi, e il marmo il nero del Belgio, detto anche “pietra di paragone” immancabile nei tavoli della seconda metà dell’800, che faceva da splendido sfondo mettendo in risalto l’eclatante policromia delle pietre; e poi le pietre dure, ancora più preziose dei marmi: il calcedonio trasparente che, foderato da una lamina metallica colorata, rende gli oggetti più luminosi; il lapislazzuli, l’agata con striature di colorazioni diverse (bianco, marrone, blu, nero, verde, rosa), la corniola caratterizzata da un colore rosso-giallo arancio, il crisoprasio con una colorazione uniforme verde chiaro e poi l’onice: opaco o semi-opaco, di colore uniforme che copre le tonalità rosso-bruno e l’intera gamma di grigi fino al nero, la giada e il turchese.
La lavorazione è altresì estremamente complessa: la tecnica del commesso (da commettere, ovvero mettere insieme) è oltre che costosa anche molto lunga a causa della durezza e della fragilità delle pietre: i blocchi di pietre da utilizzare vengono tagliati in sottilissime lastre di 3 o 4 millimetri di spessore, e, a differenza del mosaico, non si utilizzano tessere geometriche ma vengono intagliate sezioni di forme diverse, “commesse” insieme in modo talmente preciso che le zone di contatto tra le varie sezioni restano invisibili; è evidente che occorre una grande varietà di colori e un gran numero di placche per poter permettere l’esecuzione di un motivo. Il modello pittorico che, come sempre, serve da base per il commesso, viene spesso ricreato con la tavolozza naturale delle pietre che, incassate l’una con l’altra, si trasformano in disegni che riproducono fiori, paesaggi, nature morte e ogni venatura, striatura, opacità, brillantezza e sfumatura si presta a ottenere cromatismi di particolare effetto.
Disegni di bottega e utensili per la lavorazione delle pietre dure. (A.Felibien: “Des principes de l’architecture” Paris 1676 tavole LVII – LVIII)
Fonti: A. Giusti: Arte e manifattura di Corte a Firenze – S. Castelluccio: Les meubles des pierres dures de Louis XIV et l’atelier des Gobelins – A.Felibien: “Des principes de l’architecture” Paris 1676 tavole LVII – LVIII
©Giusy Baffi 2019 (pubblicato su Cose Antiche n. 189 ottobre 2008 e, in versione semplificata, su Artevitae.it. 10 giugno 2018)
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